Mirella Agorni
Raramente, e solo in anni molto recenti la teoria della traduzione si è occupata dei problemi riguardanti la traduzione multimediale. Nonostante il concetto stesso di traduzione sia stato allargato, almeno nell’ambito dei Translation Studies, mediante l’introduzione della nozione di rewriting (Lefevere, 1992a), una categoria che comprende vari fenomeni di rifacimento testuale, che vanno dagli adattamenti di qualsiasi tipo a generi che sembrano presentare un minor grado di affinità con la traduzione intesa in senso proprio, come la critica letteraria e l’antologizzazione, le operazioni di doppiaggio e adattamento continuano ad interessare una cerchia ristretta di specialisti, sia nel campo strettamente professionale che in quello accademico. Una delle ragioni principali dell’apparente riserbo dei teorici della traduzione nei confronti della traduzione multimediale sembra potersi imputare al fatto che questa operazione complessa mette in discussione l’artificiale ma ormai sedimentata distinzione disciplinare tra traduzione e interpretazione. Di fatto la traduzione multimediale presenta aspetti riconducibili sia alle problematiche del testo scritto che a quelle riguardanti la lingua parlata. Non a caso, per esempio, uno dei pochi teorici accreditati nel campo della traduzione multimediale, Thomas Herbst, allarga deliberatamente l’orizzonte disciplinare, servendosi da una parte di teorie della traduzione di chiaro orientamento pragmatico (per esempio l’approccio comunicativo di Reiss e Vermeer, la prospettiva funzionale di Mona Baker e quella olistica di Mary Snell-Hornby), e dall’altra di una varietà di strumenti di derivazione linguistica (quali gli studi sulla semantica di Geoffrey Leech, quelli sui corpus di John Sinclair, particolarmente utili per approfondire i fenomeni di idiomaticità, e, ovviamente, la prospettiva funzionale di Halliday che offre particolare rilievo ai concetti di coesione e coerenza testuale). Herbst dimostra pertanto che una prospettiva interdisciplinare, la sola in grado di render conto della natura complessa del testo multimediale (nel quale, ricordiamo, il linguaggio è solo una delle tante componenti) è la chiave di volta contro le barriere apparentemente erette dalla teoria. Partendo da presupposti simili questo intervento si propone di contribuire a sfatare il mito dell’inconciliabilità tra teoria/e della traduzione e (pratica della) traduzione multimediale. Analizzando l’evoluzione di concetti fondamentali quali fedeltà, equivalenza, accettabilità, adeguatezza e interdisciplinarietà nell’ambito delle teorie di alcuni dei principali studiosi di traduzione, a partire da Eugene Nida, per arrivare a Gideon Toury e LawrenceVenuti ai nostri giorni, si vorrebbe dimostrare come il progressivo allargamento della prospettiva teorica sia oggi in grado di comprendere e analizzare fenomeni vasti e ‘misti’ come quelli che fanno capo ai processi di manipolazione testuale che interessano la traduzione multimediale.
Cinzia Bevitori
Parafrasando R. Barthes, diremo che "interpretare, dunque tradurre
un testo (film, in questo caso) non è dargli un senso, è
invece valutare di quale pluralità sia fatto."
Muovendo da questo assunto, il Pillow Book ci sembra offrire fertile
terreno di ricerca per quanto concerne lo studio e l'indagine di alcuni
fra i fenomeni che caratterizzano la traduzione "multimediale".
L'approccio del nostro percorso non è quello di mettere a confronto
testo "originale" e testo "adattato" per elaborare
criteri di giudizio, quanto di individuare nel testo in oggetto quella
pluralità e complessità di meccanismi testuali che
ci sembrano rinviare ad una strategia enunciativa di riscrittura e
duplicazione.
Area privilegiata d'indagine è, in un tale contesto, il rapporto
fra testo e immagine, la cui sintesi viene esplicitata attraverso
il carattere polisemantico dell'ideogramma.
D'altro canto, attraverso un ribaltamento di prospettiva, già nella
versione originale del film di Greenaway sembrerebbe scorrere il testo
fantasma di quella "traduzione" che si cela dietro ogni atto
creativo. Il film, in un contesto dominato dal plurilinguismo, si appropria
a tal fine di una fra le risorse della traduzione filmica: il sottotitolaggio,
utilizzato qui in maniera alquanto atipica e consona alle strategie sopra
delineate.
Anna Carotta e Alessandro Tampieri
Doppiare o sottotitolare? Se di fronte al problema della lingua nei film stranieri l'industria cinematografica italiana ha nettamente privilegiato la prima delle due soluzioni, vale comunque la pena di analizzare le caratteristiche di entrambe e di porle a confronto. Quello che abbiamo eletto a campo di battaglia è un cortometraggio di cui sono stati realizzati un adattamento con sottotitoli e uno per il doppiaggio. Vedremo come la sfida di fatto non abbia avuto un vincitore e un vinto: caratteristiche e difficoltà del testo di partenza hanno trovato la soluzione ottimale ora nella traduzione "scritta", ora in quella "parlata". All'alba di una teoria della traduzione multimediale, ci sembra che doppiaggio e sottotitolaggio si debbano quindi porre come avversari alla pari che ricorrono a strategie diverse per centrare lo stesso obiettivo.
Delia Chiaro
Puns have traditionally represented a challenge to translators, and
as they play havoc with machines and technology which try to rationalise
them, theorists in translation studies continue to grapple with the very
essence of their duplicity. Any systematic attention to puns and the question
of their translatability are recent issues which, however, have been further
complicated by the terminological confusion surrounding the term itself.
Clearly, the technical constraints of a written pun are different from
those of an oral one, which are different again from those of a pun to
be dubbed in a tv programme or a film which, by its very nature, is doubly
constrained by its visual surroundings.
Paranomasia on screen will be discussed as an instance of the broader area
of translating comedy for both cinema and tv. Following an attempt at classification,
the question of translatability will be discussed both in terms of the
inherent translatability of a pun and its actual translation, bearing in
mind both its humorous and poetic functions. Finally, the case will be
argued for 'screen' puns to be given the same status in theoretical terms,
as their literary cousins.
Claudia Cortesi
Obiettivo: Verifica in cui l’ipertesto mette al centro dell’interesse
la figura del traduttore.
Ipotesi di lavoro: L’ipertesto è uno strumento che permette
di assumere consapevolezza dei processi intuitivi del traduttore.
Struttura argomentativa: Il nostro testo multimediale incentrato su Regain, uno dei primi romanzi di Jean Giono, è stato concepito in modo tale da mettere a disposizione degli specialisti di questo autore, di critici della traduzione e soprattutto di traduttori o ritraduttori di Regain il frutto delle ricerche di una singola persona la quale si è avvalsa a sua volta di molte fonti. Tali ricerche comprendono vari campi di studio, ognuno dei quali appare sotto un’icona specifica sulla prima pagina dell’ipertesto. Alcune di queste icone si soffermano sui problemi retorici, sintattici, lessicologici e ritmici che precedono l’atto traduttivo di un testo come Regain. Tale romanzo, considerato da alcuni come un romanzo rustico, viene inquadrato non soltanto all’interno dell’intera opera narrativa di Giono ma anche all’interno del genere stesso molto in voga in Francia nei primi trent’anni del novecento. Oltre ad informazioni di tipo linguistico e letterario l’ideatore di questo ipertesto offre al lettore la possibilità di scegliere altri percorsi di lettura: l’apparato critico, l’apporto dell’ipertesto alla teoria della traduzione, l’apparato filmico ed infine la figura del traduttore. I primi due sono molto importanti per il traduttore: infatti, l’apparato critico limitato ad articoli scritti negli anni ’30 rende conto delle difficoltà di collocare il romanzo di Giono in un genere ben definito, mentre l’ipertesto consente al traduttore di superare la dicotomia "sourciers" e "ciblistes". La versione filmica, qui accompagnata dalla trascrizione dei dialoghi, lancia in alcune sue parti una sfida al doppiatore costretto ad optare certe scelte laddove il testo contiene parole o brevi frasi in italiano.
Il nostro lavoro consiste nell’analisi di un prodotto audiovisivo tedesco destinato alla televisione: il film Nur über meine Leiche (Solo sul mio cadavere,1996) del regista Rainer Matsutani. Dopo una presentazione generale dell’opera, si è passati ad un’analisi più dettagliata di alcune scene che ci sono sembrate particolarmente significative per comprendere i personaggi, la loro interazione e lo svolgimento della vicenda. L’analisi parte dalla identificazione di questo testo multimediale, che potremmo definire una “commedia macabra” destinata all’intrattenimento di un grande pubblico. Il punto di arrivo è l’individuazione delle strategie utilizzate per raggiungere l’effetto umoristico/grottesco: una delle più evidenti è l’apparente divario tra dialogo ed immagine, che emerge non tanto dalla singola battuta quanto piuttosto dalla scena nel suo complesso. Nella proposta di adattamento in italiano abbiamo ritenuto essenziale mantenere tale effetto sul “nostro” spettatore”; abbiamo quindi scelto un approccio traduttivo di tipo pragmatico, senza pretendere di produrre una versione già perfettamente sincronizzata.
Elena Di Giovanni
I film musicali, in cui i dialoghi si fondono con la musica e le canzoni, sono tra i più amati e conosciuti dal pubblico, pur essendo rimasti sempre al margine dello studio e dell’attenzione dei critici. Attraverso una prima analisi macro-strutturale delle versioni italiane dei più famosi musicals, appare evidente come le soluzioni traduttive adottate siano eterogenee e spesso inadeguate, dando luogo ad una successione storica inconsistente che non è stata mai presa in esame in maniera sistematica. Facendo riferimento ai Translation Studies e selezionando un corpus rappresentativo del periodo di maggiore fertilità del genere, questa analisi si propone di determinare la specificità culturale dei musicals hollywoodiani e la necessità di un adattamento socio-culturale al contesto italiano di arrivo. Dopo aver esaminato il genere musicale attraverso un ampio approccio “culture-oriented”, è necessario discutere ogni caso traduttivo in termini funzionali -“function-oriented approach”- per comprendere e motivare le scelte anche a livello diacronico, cercando così di superare l’apparente eterogeneità del genere musicale in italiano.
Francesca Gatta
Per valutare correttamente la lingua della serie televisiva italiana
Un posto al sole, tuttora in programmazione nei canali nazionali, due sembrano
i livelli di analisi da tener presente: da una parte, il confronto con
il modello costituito dalla produzione straniera tradotta e proposta in
Italia; dall’altra parte, invece, l’analisi del parlato-recitato/scritto
(Nencioni) rispetto alle caratteristiche dell’italiano parlato individuate
dagli studiosi negli ultimi anni.
Riguardo al primo ambito di confronto, si tratta di valutare la distanza
o i punti di contatto con quella che è stata definita una varietà
a sé stante di italiano, cioè la lingua del doppiaggio televisivo
(M.Pavesi), con riferimento particolare alla lingua proposta da telenovela,
soap opera, serie televisive.
Collocata la serie italiana rispetto al modello o ai modelli, successivamente
l’analisi cercherà di valutare il tipo di italiano proposto: dato
per scontato che si tratta di un parlato-recitato/ scritto, o di un italiano
oralizzato, si tratta di capire i modi attraverso cui si realizza la mimesi
del parlato, prendendo in esame quelle caratteristiche sintattiche, fonetiche,
lessicali che gli studiosi hanno individuato come caratteristiche principali
dell’italiano "dell’uso medio". (Sabatini).
L’ipotesi è che, pur nel rispetto delle leggi del genere che incidono
significativamente sulle scelte linguistiche, affiorino involontariamente
nei dialoghi, forse per iniziativa degli attori stessi, tratti di italiano
regionale che nel corso delle puntate diventano sempre più presenti.
Christine Heiss e Lisa Leporati
Il nuovo cinema italiano sembra tendere decisamente verso una spiccata regionalizzazione degli ambienti e dei dialoghi, oltre a voler creare sempre più l’impressione di autenticità e spontaneità. Quali strumenti analitici possono essere impiegati per affrontare le specificità sociolinguistiche e culturali e individuare accettabili strategie di doppiaggio? A questo scopo vengono presi in esame gli spunti finora individuati dalla ricerca linguistica e relativa al doppiaggio, si propone un procedimento di analisi differenziata e si esemplificano alcune conseguenze pratiche in riferimento al doppiaggio in tedesco di due film di Pupi Avati tipici per il regioletto emiliano.
Klaus Kaindl
Die Erforschung der multimedialen Übersetzung hat in den 90er Jahren
einen beachtlichen Aufschwung erfahren. Eine Reihe von einschlägigen
Kongressen, sowie Sammelbänden und Monographien sind diesem Thema
gevidmet worden. Die unterschiedlichen Definitionen von Multimedialität
führten dabei dazu, daß der Schwerpunkt oft ganz unterschiedlich
gesetzt wurd, und einmal auf der Film- und Fernsehübersetzung, dann
wiederum auf der Bühnenübersetzung oder aber auf elektronischen
Multimediaprodukten lag. Auffallend dabei ist, daß Comics und ihre
Übersetzung so gut wie nie als Thema vorhanden waren.
In diesem Beitrag soll daher - ausgehen von einer semiotischen Definition
der Multimedialität - zunächst versucht werden, Comics in ihre
übersetzungsrelevanten Teile zu zerlegen. Dabei wird zwischen sprachlichen,
paraspachlichen, typographischen und bildlichen Elementen unterschieden.
Zu den sprachlichen Elementen gehören die Sprech- und Denkblasentexte,
die Erzähltexte, Etiketten sowie Titel und Überschriften. Zu
den parasprachlichen Komponenten werden die sogenannten Onomatopoien gerechnet.
Diese stehen in enger Verbindung mit der jeweiligen typographischen Gestaltung.
Und schließlich soll auch das Comicbild als gleichberechtigtes, übersetzungsrelevantes
Element in die Untersuchung miteinbezogen werden.
In einem zweiten Schritt soll es darum gehen, einen Übersetzungstypologischn
Rahmen zu entwerfen, der einerseits groß genug ist, um sowohl die
bildlichen als auch die sprachlichen und parasprachlichen Elemente des
Comics darin zu berücksichtigen und andererseits differenziert genug,
um alle möglichen Übersetzungsstrategien zu erfassen. Dazu wird
ein - in der Übersetzungswissenschaft allerdings bisher nur auf sprachliche
Vorkommen angewandtes - Analysemodell aus der Rhetorik herangezogen.
Abschließend wird versucht, anhand einer bei deutschsprachigen Comicverlagen
gemachten Untersuchung, für die jeweiligen übersetzungsrelevanten
Elemente die gebräuchlichsten Übersetzungsstrategien festzustellen.
José Lambert e Tomasz Dembski
In this paper we want to examine how researchers at the end of this century may get ready for their task - in this case: research on translation - in another century. In other words: this will be a discussion of the established assumptions on translation, and an attempt to reassess our tasks in terms of communication. It seems that the traditional distinction between written ("translation") and "oral" translation ("interpreting") is outdated - from now on - since it ignores the role played by the communication support. We may discover that some other distinctions, such as dubbing vs. subtitling, have been overemphasized, that our media translation research operates on a too small basis, and that new concepts are needed in order to deal with all (and/or dominant) situations.
The academic world has discovered the question of translation - if at all - via the world of business rather than via its own programs for academic research . This explains why, in most countries, universities have abandoned the question of translation to a network of institutes ad hoc, on the level of higher education: these institutes have been supposed so far to solve the translation problems and needs of society. It has taken a long time before the idea has been accepted of "translation studies" as an academic discipline, i.e. worth of any research investment (Holmes 1972; Toury 1978; Toury 1980), and the attitude of the neighbour academic disciplines (linguistics, literary studies, psychology, sociology, communication) remains hesitant and ambiguous until this very day. However, translation studies has developed as a more or less established (inter)discipline ("Interdiscipline": in Snell-Hornby’s terms from the 1980-90’s) from the mid-seventies on. One of the consequences has been the widening of the scope: translators and their trainers are not the only possible focus any more of scholarly discourse on translation, research is not reduced any more to applied research (cf. "Descriptive Translation Studies"), theories are not needed exclusively any more for the sake of translation practice (the idea of many different kinds of theories is - often - accepted), other disciplines (e.g. sociology, politics, linguistics) may benefit from research on translations, and (even) translation trainers do not (always) resist the idea of research.
But innovations in society continue to work out much faster than innovations in research (and in training). In most contemporary definitions of translation, the question of media translation is still hardly taken into consideration. Media translation has been put into practice, often under another name, long before it has been integrated into curricula for translation training. In the language industries the idea of "language transfer" (Yves Gambier, Geoffrey Kingscott) is not systematically linked at all with translation, and both subtitling and dubbing tend to be treated as specific operations rather than as "real translations". Most theoretical models appear still to be in trouble with media supported translation: 1° they have developed out of basic assumptions where translation is supposed to be written (printed), in opposition with oral translation ("interpreting"), which implies from the beginning that there is no space any more for media translation, and 2° they stick to (static) one-to-one relationships between cultures that ignore most cultural processes of internationalisation (globalization). Even in our translation training, media translation and/or translation as communication are still treated as particular subareas of the translation world that do not disturb the holy distinction between "translation" (written translation) and "interpreting" (oral translation). The fact is that the "media" phenomenon keeps changing and diversifying its position to the point that we don’t see neither its beginning nor its end, especially since our computers tend to function also as TV screens and as basic tools for worldwide public and private interaction. Many new forms of oral translation ("interpreting"?) are being used, often on the basis of technological support. Speech technology allows for the combined development of oral and written speech production, machine translation and human translation: this will occur very soon in large international environments. The use of writing itself is reckognized more and more, for obvious and solid reasons, as the first mediatisation of communication (Walter Ong ). The observation of e-mail and Internet discourse (Sanchez-Mesa Dominguez et al. 1997) demonstrates that the basic codification of written discourse is also at stake in our media-computer world and in our virtual societies. In fact it has been suggested (Misano symposium, September 1997) that all communication could be accepted as "multimedia communication". One conclusion becomes inevitable at least: media translation cannot be treated any more as a peripheral kind of translation next to (or: after) written or oral translation.
We may wonder whether this has any consequences except in terms of mere terminology and bureaucracy. Are such changes just spectacular aspects of the modern world that do not affect neither translation nor language nor communication?
Let us provide several answers, from the very simple business oriented answers and very pragmatic (training oriented) ones to scholarly and socio-cultural ones.
- Since not many translators may be able to resist media support, the question of media translation stops being peripheral in the daily life of our average translator: one wonders whether theoreticians, researchers and trainers have already integrated this observation into their models; - There are strong chances that the more sophisticated kinds of media supported translation will be used in rich, large-scale and prestigious environments, and that "traditional" (human?) translation will appear to be peripheral; - This is another step in the technologisation of communication and discourse and in the redefinition of man vs. machine, or, in another words, this is the newest redefinition of machine translation: whatever may have been said and written, it does not at all exclude the human/socio-cultural component but it corrects our definitions of man vs. communication vs. machine; - The possible/probable impact on society and on new kinds of societies is already object of study in new interdisciplinary research (TRANSCULT and others); - Neither simple training nor even applied research will be sufficient in order to prepare our "translators" (?) for their future tasks, and it is highly questionable whether translators will find their way after a few years of isolated training: they will need new contacts (stages) with the media world; but as the experiences in distance learning indicate, training and education will also be needed by managers, and not only by their language/translation operators; - In case managers and translators want to master their communication machinery, they will need to rely on fundamental and interdisciplinary research where language and translation are accepted as components of particular types of communication, with (always) specific purposes; - Last but not least: translation theory and research will be obliged to reexamine how the communication/media component helps us to redefine all translation phenomena - including those from ancient times - rather than some among them.
Raoul Lolli
"Allora non ci capiamo, eh?!" - Capita spesso di sentire questa frase, che sicuramente una volta nella vita qualcuno ha rivolto anche a noi. E spesso proprio perché il nostro atteggiamento, linguistico o extra-linguistico, non era adeguato alle richieste del contesto di quel momento. Ecco allora la maggiore difficoltà nella traduzione dei vocativi e del turpiloquio inglese: non fermarsi alla "lettera", ma andare oltre e farsi guidare dalla situazione filmica, per produrre così delle soluzioni in grado di rendere le sfumature del sottotesto. Perché bisogna lanciarlo il messaggio a dialoghisti, direttori di doppiaggio e attori: non esistono solo bello, amico, stronzo, fottuto; altri vocaboli, espressivi come quelli dell'inglese, possono entrare in gioco e divertire lo spettatore italiano.
Gabriele Mack
Sempre più spesso i mezzi di informazione di massa, soprattutto la televisione, consentono a milioni di persone in tutto il mondo di partecipare in diretta a "eventi storici" ai quali fino a pochi decenni fa avrebbe potuto assistere solo un esiguo numero di persone. Come in molti paesi, anche in Italia ciò comporta inevitabilmente la necessità di una mediazione interlinguistica da offrire a chi non è in grado di capire direttamente la lingua in cui l'evento si svolge. Alla luce di due esempi recenti - la cerimonia funebre per la principessa Diana e il viaggio di papa Giovanni Paolo II a Cuba, entrambi trasmessi dalla televisione italiana, - si analizza lo scenario che questi eventi costituiscono per l'interpretazione di conferenze e si espongono alcune riflessioni sulle nuove esigenze che ne derivano per la prassi professionale e per l’insegnamento.
Claudia Monacelli
The presentation of documentary films in international film festivals requires interpreting the film’s source text language into the audience’s target language. The working conditions of the film festival interpreter vary greatly depending on the material made available to the interpreters by the organizers. Generally speaking, an interpreter will work in one of the following conditions:
Very rarely will the interpreter have the luxury of both viewing the film and working with a script, and in fact the most common working condition by far sees the interpreter "working blind" – in other words, equipped with only a film script.
An analysis of the process of interpreting when working blind involves discussion of documentary film making techniques and narrative styles (Gershon 1989, Threadgold 1989), their effects on the viewer (Gershon 1981, Neale 1980), film viewers’ role and expectations (Crary 1993, Gershon 1980, Malouf 1995), script formats, the limitations of sight translation, and interpretation procedures most frequently applied (Kalina 1991, Sunnari 1995, Van Dam 1989, Monacelli 1994, 1997). Examples will be taken from a variety of film scripts (containing narrative, two-party and multi-party discourse, subtitles) and film clips1.
Giovanni Nadiani
Sembrano essere ancora relativamente poche le applicazioni ipertestuali
legate alla traduzione reperibili sul mercato editoriale sottoforma di
supporto elettronico o rintracciabili nella Rete. Ma sarà questione
di poco tempo e i lettori interessati potranno navigare comodamente anche
all'interno di ipertesti contenenti "originali" e "traduzioni"
(e relativi percorsi multimediali), confrontare in tempi rapidissimi le
versioni appena acquisite con altre già in memoria, e, se competenti
in materia, manomettere a piacere quanto il supporto elettronico oppure
la rete ha messo loro momentaneamente a disposizione, recitare, insomma,
una parte importante nel farsi e rifarsi del "prodotto traduttivo"
come mai prima d'ora.
Le nuove tecnologie, permettendo l'invadenza creativa del lettore
nel "testo", simboleggiata attualmente dalla freccina perennemente
presente sullo schermo del calcolatore, portano a compimento quanto già
preannunciato da Walter Benjamin nel suo famoso scritto L'opera d'arte
nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Benjamin, subito dopo
aver dimostrato lo sgretolamento dell'"Aura" posseduta dall'opera
d'arte a causa della sua riproducibilità tecnica, fa un'affermazione
che agli occhi di un "lettore ipertestuale" di traduzioni si
dimostra, a sessant'anni di distanza, di un'attualità sconvolgente
e che, per così dire, scagiona, redime la copia riprodotta dalla
sua colpa di aver scalfito l'aura dell'originale facendosi, nel contempo,
forte interprete delle ragioni del ricevente. "La tecnica di riproduzione,
così potrebbe essere formulata in generale la cosa, sottrae il riprodotto
all'ambito della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, essa pone al
posto della presenza unica del riprodotto la sua presenza in serie. E permettendo
alla riproduzione di venire incontro al ricevente nella sua particolare
situazione, attualizza il riprodotto."
La breve riflessione terminologica che si vuole presentare
intende evidenziare come, in presenza delle nuove tecnologie applicate
alla traduzione, sia sempre più difficile impiegare la consueta
definizione di "testo d'arrivo" (Zieltext, target text, texte
cible ecc.), poiché questo -in fieri- nel momento stesso in cui,
codificato in una certa maniera, "arriva" ad un utente/lettore
qualificato, può essere da questo immediatamente manomesso: il testo,
insomma, più che "arrivare" al lettore, gli transita momentaneamente
davanti. Per restare all'obsoleta metafora del viaggio, invece di "testo
d'arrivo" si dovrà, pertanto, sempre più parlare di
"testo in transito", o forse meglio -volendo sottolineare questa
(solo parzialmente) nuova condizione di apparente stabilità momentanea-
di "testo di scalo".
Siri Nergaard
L’intervento propone la semiotica come modello di analisi della traduzione
multimediale.
Si adotta la semiotica interpretativa di Eco, nello specifico la sua teoria
testuale, in quanto si pensa che sia particolarmente idonea a studiare
il processo interpretativo-trasformativo che ha luogo nella traduzione.
Si utilizzano in particolare i concetti di strategia narrativa e
quello di intentio operis. La strategia narrativa si sviluppa grazie
alla cooperazione interpretativa del lettore. L’intentio operis
costituisce senso di un testo che deve essere preservato nell’interpretazione
e di conseguenza nella traduzione. In secondo luogo, per ottenere un modello
d’analisi appropriato per la questione specifica della traduzione multimediale,
si intende integrare la semiotica strutturalista generativa della Scuola
di Parigi con il modello interpretativo. La semiotica generativa ha sviluppato
un modello teorico particolarmente articolato per l’analisi dei testi sincretici.
Infine si cercherà di unire l’approccio semiotico proposto all’orientamento
recente dei Translation Studies che considera la traduzione (multimediale)
una comunicazione interculturale.
Ilaria Parini
Compiendo un’accurata analisi delle sceneggiature scritte da Quentin Tarantino è possibile riconoscere una serie di tratti caratteristici comuni che agiscono a vari livelli, creando una sorta di continuità intertestuale tra i testi. Analizzando le versioni adattate italiane si è riscontrato che spesso le strategie traduttive hanno optato per scelte che, sebbene funzionali all’interno della singola battuta o del singolo film, operano a discapito di tale continuità intertestuale: gran parte degli elementi che sono ricorrenti nelle sceneggiature originali non risultano ricorrenti anche nelle versioni doppiate. Ne deriva una conseguente generale spersonalizzazione dello stile dell’autore nell’adattamento italiano. Nel presente studio ci si chiede se sia lecito o meno tradurre un film estrapolandolo dal macro(con)testo di cui fa inevitabilmente parte, costituito proprio dalle altre opere scritte dal medesimo autore.
Nicolina Pomilio
Il romanzo epistolare e la sua traduzione costituiscono i nuclei intorno
ai quali viene strutturato il materiale critico, sonoro, iconografico e
video. L'introduzione storico-letteraria comprende una serie di sezioni
dedicate rispettivamente alla fortuna critica dell'autore, all'opera ed
al genere in oggetto (romanzo epistolare), con i relativi apparati bibliografici.
(18 schede) Sono state incluse due traduzioni in italiano delle opere di
Crébillon. La prima traduzione (Le Sylphe) viene realizzata nel
1787, la seconda è costituita dall'adattamento teatrale dell'opera
La notte e il momento realizzata da Enzo Siciliano.
La scelta del materiale sonoro e iconografico è stata dettata dal
testo in oggetto, sono stati inclusi brani musicali e quadri, rievocanti
personaggi cui nell'opera si fa riferimento.
L'apparato sonoro comprende madrigali di Marenzio e Monteverdi (Tirsi morir
volea, Zefiro torna 'l bel tempo rimena), opere di Strauss e Telemann (Don
Chisciotte) (30 min ca.), e la lettura di alcune lettere sia in lingua
originale, sia in traduzione. L'apparato iconico consiste in una serie
di quadri contemporanei all'autore (La toilette di Boucher e La camicia
tolta di Fragonard); oppure raffiguranti personaggi citati all'interno
dell'opera letteraria in oggetto (Flora di Poussin, Rinaldo e Armida di
Tiepolo, Don Chisciotte di H. Daumier e di Picasso). (18 immagini)
Le immagini video sono tratte dal film La notte e momento realizzato
da Anna Maria Tatò, la cui sceneggiatura è stata dal dialogo
omonimo di Crébillon Fils. (10 min. ca.)
I materiali sono stati divisi secondo la loro tipologia, individuabile fin dalla seconda schermata, è dunque possibile partire dai diversi materiali, per arrivare tramite questi alla lettura ed all'ascolto delle lettere, oppure iniziare da queste ultime per arrivare ai materiali multimediali.
Christopher Taylor
(1) Following the recognition of film and other multimedial 'texts'
as complex semiotic events, much attention has been focussed on their non-verbal
and pragmatic aspects, and the importance of these in their translation.
However, while it is recognised that film translation is "rather more
than putting words into another language" (Minchinton, 1997) and that
there is a 'visual grammar' to take into consideration, it is important
to remember that the 'word' is still the anchor for everything. A minimalist
approach to film dialogue, relying too heavily on images, colours, gestures
and so on to compensate for the verbal element, may lead to an accumulated
loss of meaning.
(2) The current trend towards 'localisation' encourages translators
in many fields to provide a complete target language package geared specifically
to the receiver community. This is highly recommendable in multimedial
fields like advertising, where the content of the verbal text, often accompanied
by a very prominent visual image, is of less importance than the message.
In the case of the cinema, on the other hand, the audience for a foreign
film needs to know exactly what is going on, and to appreciate the whole
semiotic experience in the same way that the original audience did. For
this reason it is unwise to go too far in localising a product that is
blatantly not 'local', and that can actually be instructive to a discerning
audience in terms of transcultural transmission.
Thus, in making sure that (1) all the important verbal and
non-verbal aspects of a film are fully understood, and (2) that they are
understood in terms of the source text culture, the question of 'wording',
above all else, should be seen as fundamental. This premise will be analysed
through observation of what can be achieved by the process of 'subtitling'.
Ideally, subtitles should provide the translator with the means to condense
an entire film 'text' (verbal and non-verbal) into words. Through a series
of examples, including films from outside the English/Italian domain, the
role of the word as conveyor of meaning and guardian of culture will be
examined.
Margherita Ulrych
Translation is attracting increasing interest as its central role in
crosscultural communication becomes ever more apparent in our rapidly evolving
world. Since contemporary media in its manyfold expressions not only reflect
but also direct transcultural contacts and exchanges, it is not surprising
that multimedia translation is a major area of study today. The two areas
of multimedia translation research which are proving most productive from
a theoretical as well as a practical point of view reflect the two principal
senses in which the term 'multimedia' is currently being used: film
translation, in the semiotic sense of conveying meaning via a number of
semiotic systems, and multilingual corpora studies, in the technical sense
of exploiting the facilities offered by information technology.
A theoretical point of contact between the two areas of study is the search
for universal features of translation behaviour based on the observation
and description of translation-specific phenomena. Goris (1993) has proposed
a set of global norms which characterise dubbing (standardisation, naturalisation,
explicitation and, to a lesser extent, simplification), while Baker (1993,
1995, 1996) has identified similar-sounding, albeit not semantically-overlapping,
features (explicitation, simplification, normalisation and 'levelling-out')
which are specific to written translation products.
The present paper investigates the differences and similarities of the
two approaches to then evaluate their potential as a basis for establishing
multiple pathways within a general 'multitheory' of translation in its
broadest sense. The suggestion is that relevant description and practice
must be theoretically founded and that multi-theoreticality may prove the
most promising notion in the search for a general translation theory (Holmes
1988 (1972)). It consists of identifying general principles of translation
description and praxis: in other words the overall theory should expand
and contract to fit the task in hand, be it descriptive or applied.
Federico Zanettin
La diffusione dei computer e le reti informatiche hanno prodotto un salto tecnologico nella comunicazione umana che è stato paragonato all'invenzione della stampa (Eco 1996). Nonostante la maggior parte dei documenti scritti, sia "originali" che in traduzione, attraversino durante la fase di produzione uno stadio di elaborazione elettronica (ben pochi "professionisti del linguaggio" non usano il computer, primi tra tutti i traduttori), esistono testi nati appositamente per essere fruiti in formato elettronico, cioè letti sullo schermo di un computer (o stampati singolarmente). I testi elettronici pubblicati su Internet (in particolare sul WWW) presentano caratteristiche che li distinguono dai documenti a stampa (testi esclusivamente verbali o anche testi multimediali come i fumetti) e allo stesso tempo da altri testi multimediali come quelli cinematografici o televisivi. Tali caratteristiche si possono riassumere sotto tre voci principali:
Inoltre lo spazio virtuale di comunicazione attraverso computer ospita un'estrema varietà di tipi testuali, dai testi pubblicitari e informativi a pubblicazioni accademiche a complessi ipertesti letterari. Dal punto di vista dei traduttori, sia professionisti che in formazione, la natura dei testi elettronici pone non solo problemi teorici come quelli relativi allo status del "testo di partenza" di una traduzione (Landow 1996), ma anche problemi legati alle pratiche traduttive esistenti per i documenti in rete, ovvero di quale modalità di traduzione sia più appropriata per quale testo (traduzione automatica, traduzione "ipertestuale"). La domanda di traduzione per i testi elettronici aumenta con l'aumentare dei testi in circolazione e del numero di persone che usa il computer come strumento di comunicazione e di informazione. Questo intervento, a partire dalle implicazioni che la fruizione dei testi elettronici in rete ha per la traduzione, esamina le prospettive e le sfide che essi pongono al traduttore, sia dal punto di vista professionale che formativo.
Riferimenti bibliografici
Eco, U. 1996. From Internet to Gutenberg. A lecture presented by
Umberto Eco at The Italian Academy for Advanced Studies in America,
November 12,1996.[online]. Disponibile presso http://www.italynet.com/columbia/Internet.htm.
[Consultata il 10 febbraio 1998)
Landow, G. 1996. Hypertext: The Convergence of Contemporary Critical Theory and Technology. Baltimore: The Johns Hopkins University Press, 1996. [versione online disponibile presso http://www.stg.brown.edu/projects/hypertext/landow/ht/contents.html [Consultata il 10 febbraio 1998]
1Rappaport M. 1997. The Silver Screen/Color Me Lavendar. U.S.A. Couch Potato Production.