Al Lettore


A un anno esatto da quella che abbiamo chiamato la Settimana di insegnamento sulla guerra (28 aprile - 2 maggio 2003) esce il CD-ROM che avrete fra le mani (o che potrete leggere sulla pagina web della SSLMIT).
Un anno fa gli Stati Uniti avevano appena dichiarato la guerra all'Iraq e con loro la Gran Bretagna e la Spagna, coalizione alla quale si era aggregata l'Italia in qualità di alleata. Il 20 marzo 2003 iniziavano le operazioni in Iraq come "guerra preventiva" contro il terrorismo, in risposta agli attachi alle torri gemelle di New York dell'11 settembre del 2001. Si cercavano le armi di distruzione di massa che, secondo la coalizione, Saddam Hussein nascondeva e si voleva liberare l'Iraq dal suo dittatore.
Quella mattina non avevo lezione alla SSLMIT ma alla Facoltà di Lingue, a Bologna, e mi sembrava davvero irreale andare a lavorare come se niente fosse successo. Anche alcuni anni prima ero a Bologna, sempre in Facoltà, quando sul cielo della città rombarono gli aerei che andavano a scaricare le loro bombe in Bosnia e ricordo che non riuscivo ad abituarmi all'idea che, mentre noi conducevamo una vita normale, degli aeroplani solcassero il cielo italiano sotto il quale la gente camminava per strada con la solita fretta, con l'indifferenza caratteristica delle città in cui viviamo (quella volta, diversamente dalla guerra contro l'Iraq, l'azione era stata appoggiata da molti governi, anche da quello italiano) indifferenza anche per quelle bombe che avrebbero seminato la morte in difesa della libertà, della pace.
Il 20 marzo non avevo avuto bisogno di accendere la tv per sapere che, come si temeva, nella notte precedente era iniziata un'altra guerra. Ero sull'autobus che mi portava in centro a Bologna e la cosa più strana era che questa volta la città sembrava ovattata: nessun rumore di aerei, nessuna percezione della realtà. La gente in autobus parlava del più e del meno, mentre in treno, dove le conversazioni sono più lunghe e forse meno superficiali per il maggiore tempo a disposizione, i pendolari cominciano spesso la giornata commentando le ultime notizie sentite alla radio o quelle lette nelle prime pagine dei giornali appena sfornati, avevano parlavato con pudore dell'inizio di una nuova guerra. Così, mentre osservavo i gesti assonnati di tutte le mattine (non importa la città dove uno si trova perché la gente è assonnata nello stesso modo) e ascoltavo le banali conversazioni dei miei compagni di viaggio ripensando al silenzio nel quale si trovava stranamente sommersa la città, un silenzio che continuavo a confrontare con il rumore degli aerei di qualche anno prima, l'autobus è arrivato in centro. In quel momento, alla nostra destra, sbucava un gruppetto di ragazzini, i più grandi avranno avuto diciotto o diciannove anni, che si dirigeva verso le due torri (altre torri, altri simboli, chissà se ci avevano pensato). Battevano le mani al ritmo di uno slogan e poi le alzavano sopra le loro teste, protese in avanti, in segno di resa. Erano studenti delle scuole superiori che appena arrivati a scuola avevano improvvisato una manifestazione e non avevano nemmeno gli striscioni. Quando ho avvertito puntati su di me gli sguardi dei pochi passeggeri (anche quello era strano, di solito l'autobus, a quell'ora è affollato), che invece di guardare fuori, come stavo facendo io, mi osservavano stupiti, ho capito che gli applausi erano partiti da me. Mi avevano commosso la loro fiducia nelle proprie forze, la loro ingenuità, quel gesto di speranza, mentre noi nell'autobus, alcuni poco più grandi di loro, stavamo andando a lavorare convinti che ormai non si potesse fare nulla per evitare quello che era successo o forse, anche peggio, indifferenti. Devo anche aver urlato qualcosa e ho incrociato quegli sguardi che una volta riconoscevo anche in me quando mi guardavo allo specchio. Ma sono stata l'unica ad applaudire, l'unica a reagire. L'autobus era come una campana di vetro che ci teneva separati dall'esterno e io mi sono sentita sola, immensamente sola. Quel giorno molti di noi non hanno fatto lezione e, mentre ci si organizzava sul da farsi, si è parlato dell'accaduto con gli studenti.
Così, quando, la settimana successiva, sono andata a Forlì l'inizio della guerra sembrava lontano e ho fatto lezione normalmente. Chissà perché, davo per scontato che quello che avevo vissuto la mattina del 20 marzo lo avessero vissuto anche i miei colleghi, e non volevo angosciare troppo gli studenti riprendendo l'argomento con loro. Quale è stata la mia sorpresa quando è arrivata la loro richiesta di parlare della guerra, di confrontarsi con noi docenti sui cambiamenti che stavano avendo luogo nel mondo, il loro mondo ma anche il nostro. Allora ho scoperto che molti non avevano fatto cenno alla guerra forse per le mie stesse ragioni, forse per pudore, ma sono sicura che nessuno per indifferenza. Come altri colleghi, ho partecipato alle riunioni tra studenti e docenti in giardino all'ora di pranzo, ho ascoltato le loro proposte per organizzare delle iniziative che facilitassero lo scambio richiesto. Sono andata a vedere la proiezione del film September 11 (l'aula magna era piena), organizzata dagli stessi studenti che avevano sollecitato il dialogo, e mi sono fermata al dibattito che ne è scaturito, anche con studenti di altre facoltà, tra gruppi che avevano idee molto diverse tra loro. Gli studenti sono andati via contenti perché erano riusciti a confrontare le loro opinioni anche se a volte erano contrastanti.
Non ricordo se la proiezione del film sia avvenuta prima o dopo la Settimana di insegnamento sulla guerra, ma poco importa perché fanno parte delle stesse iniziative. E nello stesso clima di quella prima assemblea e delle riunioni in giardino si sono svolte le lezioni di alcuni di noi tra il 28 aprile e il 2 maggio, mentre gli studenti avevano organizzato una banca dati che aggiornavano continuamente con le ultime notizie in tutte le lingue da noi studiate e in aula magna, durante la pausa pranzo, si poteva guardare la CNN in diretta. Per quanto riguarda le lezioni, c'è stato un programma ufficiale con ben tredici proposte, a cui si sono aggiunte, nella settimana successiva, quelle di altri colleghi. L'idea era quella di dedicare la propria lezione al linguaggio della guerra senza uscire dalla materia di insegnamento (il tutto avveniva verso la fine della didattica del secondo semestre). Già la settimana successiva ci chiedevamo se sarebbe valsa la pena di raccogliere il materiale delle lezioni. E ora, esattamente un anno dopo, ci siamo: il CD che avete fra le mani riunisce 10 contributi di altrettanti docenti della SSLMIT insieme a quelli di 2 studenti. Vi hanno partecipato docenti di interpretazione, letteratura, lingua, linguistica e traduzione. Si tratta di testi che nessuno di noi avrebbe proposto sotto questa veste per una rivista scientifica, ma che vogliono solo far riflettere sullo spirito in cui sono nate e sul lavoro che ne è scaturito. Come si può vedere scorrendo velocemente i titoli, la parola chiave è la guerra ma non necessariamente quella contro l'Iraq, alla quale sono dedicate soltanto due delle oltre sedici lezioni, nelle altre a volte se ne è parlato en passant.
Dato che la metà dei contributi pubblicati arriva dai docenti di traduzione, due da quelli di interpretazione e uno da lingua, il lettore potrà usufruire direttamente dei diversi testi originali in inglese, italiano, spagnolo e tedesco, in modo tale da trovare uno spunto di riflessione personale, riflessione proposta dai colleghi in un'ottica strettamente legata agli obiettivi didattici di ogni materia. I testi originali analizzati sono rappresentativi della letteratura, con esempi di lirica e di prosa breve (Giovanni Nadiani, Tradurre le guerre: W. Borchert, B. Brecht, G. Eich), di canzoni popolari (Diana Bianchi, Canzoni contro la guerra), e del linguaggio dei media (Letizia Cirillo, I media e la guerra), con esempi tratti da articoli di opinione (Maria Carreras, Tradurre l'ironia), da relazioni (Derek Boothman, Debt-equity-swap: in cosa consiste e come funziona) e da lettere ai giornali (come quelle raccolte da Maria Chiara Russo e quelle analizzate da Adele D'Arcangelo, Tradurre per capire). La raccolta comprende anche un importante discorso (Leído por J. Saramago, pubblicato dal giornale spagnolo El País). Spesso troviamo, nei testi originali raccolti, una stessa chiave di lettura che va dall'umorismo (Patrick Leech, 'A Cold Coming') all'ironia, e arriva al sarcasmo. I contributi provenienti dai colleghi di letteratura e linguistica si caratterizzano per l'analisi di un argomento specifico, le metafore della guerra nella descrizione dell'amore (Michele Prandi, All'amore come in guerra) e una ricostruzione della figura dello scemo di guerra (Paolo Rambelli). Infine, i testi dei due studenti: Isabella Mangani e Alessandro Naso che avevano partecipato attivamente alla preparazione della proiezione del film September 11 e al dibattito che ne era scaturito. Ora Isabella si è laureata, e le abbiamo chiesto di raccontare chi sono i Traduttori per la Pace, associazione alla quale partecipano molti studenti ed ex studenti della SSLMIT e di cui lei stessa è una attivissima, quanto discreta, rappresentante. Alessandro è stato eletto recentemente rappresentante degli studenti nel Consiglio della SSLMIT, e il suo testo (Islam e democrazia) raccoglie un pensiero abbastanza comune al sentire dei nostri studenti, un messaggio di speranza.
Tante altre voci non sono qui presenti, alcuni non hanno avuto tempo per rimettere le mani sulle lezioni dell'aprile scorso, altri forse non hanno preso in considerazione il nostro invito a partecipare. Per quanto riguarda gli studenti, sarebbe stato bello avere più contributi, ma, nonostante le sollecitazioni, non sono arrivati. Mi sono rincuorata pensando che "era solo una prima volta" e, se l'esperimento funzionerà, se questo lavoro servirà a mantenere vivo il dialogo con gli studenti, e se uno solo dei testi che presentiamo farà riflettere qualcuno dei nuovi lettori, beh!, credo che il nostro tentativo si potrà considerare riuscito, e forse, chi lo sa?, si potrà ripetere, con altre voci, con altri temi.

Maria Carreras i Goicoechea